STRATEGIE PSICOLOGICHE IN QUARANTENA (E OLTRE) #2. La routine giornaliera vs lasciarsi andare alla deriva.

da | Mag 2, 2020

C’è stato un prima, ci sarà un dopo, per ora siamo ancora immersi nel durante. A breve, almeno in Italia, entreremo nella fase 2 in cui, convivendo con un pericolo non ancora debellato, cercheremo di recuperare quanto possibile sul piano delle attività sociali, lavorative, relazionali e anche psicologiche.

Saper gestire una quarantena forzata e collettiva – seppur non assoluta – non è stato facile. Ma anche il dopo necessiterà di molte attenzioni mentali. Quali strategie, quali difese psicologiche a nostra disposizione?

Condivido in questo spazio alcune riflessioni terapeutiche, in parte frutto dell’osservazione empirica e clinica che ho avuto modo di sviluppare nel mio lavoro in queste settimane, e in parte frutto dell’esperienza che ho consolidato nella mia pratica clinica in circa vent’anni di professione psicologica, occupandomi principalmente di problemi inerenti la paura, l’ansia, il panico, le ossessioni, le compulsioni e l’angoscia depressiva. L’ho organizzato a mo’ di rubrica, cercando di affrontare uno ad uno i principali fattori che possono o sostenerci o farci affondare.

*Nota preliminare: le considerazioni di seguito riportate riguardano solo chi, in questi drammatici momenti, ha avuto la fortuna di non subire direttamente o indirettamente perdite e lutti di familiari e amici, e si sta al contrario confrontando con gli effetti psicologici da stress acuto e prolungato del vivere un periodo di isolamento forzato e un necessario riadattamento. Al dolore di chi ha subito gli effetti più tragici di questa pandemia dedichiamo un pensiero di profondo cordoglio e di rispetto, e la nostra più sincera vicinanza umana.  

Strategie psicologiche in quarantena (e oltre):

#1 Il controllo delle informazioni e della comunicazione.

#2 La routine giornaliera vs la deriva sicura.

Sebbene, ufficialmente, la quarantena non sia strettamente annoverata tra gli eventi “traumatici” secondo il DSM-5 (il manuale dei disturbi psicologici più diffuso al mondo), nessun professionista della salute mentale vorrà sottoscrivere una simile affermazione dopo aver vissuto la prima quarantena mondiale della storia umana per l’epidemia da SARS-CoV-2. Il trauma c’è, eccome, ed è prima di tutto riassumibile nello stravolgimento del vissuto quotidiano. 
C’è anche chi, paradossalmente, fin da subito ha sottolineato la dimensione opposta, quella dell’opportunità che la quarantena ha offerto (ovviamente si tratta delle persone che hanno avuto la fortuna di mantenersi sani e non infetti, e di vivere in condizione agiata, anche smettendo momentaneamente di lavorare): avere tanto tempo a disposizione per fare cose che (probabilmente) non avrebbero mai fatto se non fossero stati “obbligati” a fermarsi interrompendo il ritmo frenetico e precedentemente scontato della propria vita. Vero, verissimo, tuttavia ci dimentichiamo di un piccolo particolare: da sempre gli essere umani hanno riservato ai loro consimili l’isolamento forzato e la privazione della libertà… come forma di punizione non certo di premio. La quarantena ha prima di tutto un effetto traumatico! E, dato certo in letteratura, più è prolungata peggio è.

I TANTI “VIRUS” DELL’ISOLAMENTO

Se da una parte possiamo tranquillamente dire che l’uomo si abitua a tutto, anche alle quarantene, dall’altra dobbiamo constatare che la quarantena porta con sé molti virus, non uno solo. 
Quando viene interrotto in modo traumatico il continuum della quotidianità il primo vissuto psicologico a scricchiolare è il senso di realtà. Nelle prime fasi della quarantena è stato comune sentir dire frasi del tipo «sembra tutto un film; è tutto irreale; mi sembra di vivere in un film di fantascienza; non riesco a credere che ciò stia avvenendo veramente».
Questi vissuti, comprensibili e assolutamente adeguati agli accadimenti, sono tipici dei primi momenti di un’esperienza traumatica. Possono però evolvere, ed è ciò che è avvenuto in molte persone, in aspetti più patologici e portare a sintomi di derealizzazione e depersonalizzazione. La prima corrisponde alla sensazione di perdere il contatto con la realtà. Si “derealizza” quando ad esempio si ha l’impressione che quello che stiamo vivendo non sia reale, ovverosia si mette in discussione la percezione di vivere effettivamente quello che si sta vivendo. Ciò che ci circonda sembra onirico, irreale, distante. La depersonalizzazione, parallelamente, è la percezione di non essere pienamente in noi stessi, come se ci guardassimo dall’esterno senza riconoscerci. È il dubbio che «io… forse, non sono io». Non il massimo della rassicurazione. 
Ma lo choc dell’isolamento può andare ben oltre. Il senso di irrealtà può sfociare addirittura in sintomi dissociativi più gravi al punto di perdere il proprio senso d’identità e sviluppare la percezione, ad esempio, di essere qualcun altro, avere dei pensieri indipendenti dalla nostra volontà, sentire delle voci “strane”, fino al punto di avere il dubbio di essere “posseduti” da entità a noi estranee. Nella mia esperienza, purtroppo, questo è stato un possibile esito della quarantena effettivamente vissuto da alcune persone.
C’è poi una pletora di altri disturbi tipici del momento acuto di stress. Ad esempio avere ricorrenti incubi notturni o difficoltà a dormire, pensieri martellanti e intrusivi sulle notizie traumatiche a cui si assiste, e uno stato di agitazione intensa e generalizzata che rende difficile concentrarsi. Senza contare il lasciarsi andare alla noia, al senso di inutilità, all’inquietudine, in una parola: alla disperazione.
Insomma, la reazione iniziale allo stravolgimento dei ritmi e dell’organizzazione della propria vita è ovvia: lo choc! Non è cambiato semplicemente qualcosa, si è modificato l’equilibrio più importante che dà stabilità alle nostre esistenze: la routine, le certezze, la libertà.

PRENDERE IL TIMONE VS ANDARE ALLA DERIVA

Vi sono due modi per affrontare un isolamento forzato che stravolge la nostra routinaria organizzazione di vita: riorganizzarsi o andare alla deriva.
Le persone che ho osservato reagire meglio all’isolamento, sin dalle prime fasi della quarantena, sono state coloro che hanno immediatamente resettato il loro equilibrio precedente, la loro familiare organizzazione di vita, in favore di una veloce rimodulazione della propria quotidianità. Hanno preso letteralmente il controllo delle proprie giornate e fin da subito hanno costruito nuove routine quotidiane. 
In molti sono stati aiutati dall’aver potuto mantenere un lavoro a distanza da casa (l’ormai celeberrimo smart working) o da obblighi imposti dall’esterno, penso agli studenti in primis che hanno rivoluzionato la didattica a loro dedicata. Chi non ha avuto questa “fortuna” si è ritrovato a gestire un vuoto enorme. 
Il modo più efficace per gestire resilientemente la quarantena è stato quello di ristrutturarla come una sospensione operosa. Uno stato straordinario rispetto al prima, consistito nel diventare “magister” delle proprie giornate. Guidare la propria quotidianità in modo intenzionale, deliberato e volontario; suddividere i momenti della giornata in spazi dedicati a diverse, vecchie o nuove attività. Abbiamo così assistito a moti estemporanei di entusiasmo verso l’attività fisica, a esperimenti nazionali di panificazione e dolciaria come mai se ne erano visti a memoria di massaia, a riscoperte di uncinetti e ferri da maglia. Ma anche a semplici quanti efficaci riorganizzazioni della routine domestica focalizzate sulla lettura, sulla musica, sull’impegno familiare. Indipendentemente dal cosa, il fattore cruciale è stato quello di entrare in un’ottica di time management. Per molti è stato sorprendente constatare quanto le nostre vite siano state scandite fin dall’infanzia da tempi organizzati, spesso dall’esterno: la scuola, il lavoro dei genitori, le attività extrascolastiche, il sabato, la domenica, le vacanze. Prepotentemente si è affacciata la necessità di metter mano direttamente alle lancette del nostro orologio. 
Pensare però che basti riorganizzarsi una tantum è pia illusione. Siamo entrati in un processo che sarà probabilmente lungo. Tutti gli esperti ci ricordano che dopo la quarantena strictu sensu dovremo imparare a convivere per un certo periodo col rischio del contagio. E, per inciso, anche la storia ci ricorda che le epidemie del passato non sono certo durate solo un paio di mesi, piuttosto un paio d’anni.
La sfida è dunque quella della flessibilità. Il rischio, quello della fragilità sostenuta dalla dispersione delle nostre risorse. Un cambiamento così radicale rischia infatti di polarizzare ancor più gli equilibri psicologici: fortificare le persone forti, indebolire chi è già debole. Prendere il timone della nostra vita quotidiana è quantomai cruciale.

PER APPROFONDIRE:

Alessandro Bartoletti, Giorgio Nardone. LA PAURA DELLE MALATTIE. Psicoterapia Breve Strategica dell’Ipocondria. Ponte alle Grazie, 2018.

Brooks, et al. The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. The Lancet, RAPID REVIEW| VOLUME 395, ISSUE 10227, P912-920, MARCH 14, 2020.

Wang, C., Pan, R., Wan, X., Tan, Y., Xu, L., Ho, C. S., & Ho, R. C. (2020). Immediate psychological responses and associated factors during the initial stage of the 2019 coronavirus disease (COVID-19) epidemic among the general population in china. International Journal of Environmental Research and Public Health, 17(5), 1729

L’ipocondria… ai tempi del Coronavirus

DOC da contaminazione e Coronavirus: l’incubo diventato realtà!