Iscriversi all’università significa per molti ben altro che costruire conoscenza e avvicinarsi a una professione. Nel conseguimento del titolo si riversano aspirazioni, ambizioni e necessità che non appartengono solo allo studente, ma anche alla sua famiglia e alla società in generale
Iscriversi all’università può significare quindi sottoporsi alla prova del nove della vita: i risultati che si otterranno, la media dei voti, la velocità e l’efficienza nel laurearsi sembrano oggi le sole variabili in grado di predire il successo professionale (ed esistenziale) della persona.
Una pressione, questa, difficile da ignorare o aggirare e che spesso si trasforma in un problema serio per il benessere psicologico degli studenti, arrivando a inficiare proprio il percorso accademico: sono infatti numerosi gli studenti che vivono dei blocchi nello studio, al netto di notevoli risorse individuali e di un grande impegno personale.
Su questa “università della performance” si potrebbero – e senz’altro si dovrebbero, in altre sedi – aprire numerose riflessioni critiche.
In questa sede invece passeremo in rassegna gli effetti di una delle tentate soluzioni* più frequenti e più deleterie dello studente sotto pressione: parlare dell’università e dei propri risultati accademici.
Studenti che parlano e condividono troppo
Lo studente che parla in continuazione dell’università lo fa in genere nel tentativo di rassicurarsi e sedare le proprie preoccupazioni.
Spesso i “bersagli” principali di questa modalità di comunicazione sono genitori, fratelli, fidanzate e fidanzati, ma anche compagni di corso e amici: chiede loro consiglio, ragiona a voce alta, problematizza, rimugina…Le persone che gli sono vicine conoscono ormai a memoria il calendario degli appelli, i nomi dei professori più temibili, i passaggi più ostici nello studio di una certa materia, e così via.
In questo caso lo studente coinvolge quindi a trecentosessanta gradi gli altri nella sua dis-avventura accademica, con risultati paradossali e insoddisfacenti: nel tentativo di sentirsi più sicuro, perde sempre di più il controllo della situazione. La sua ansia – amplificata dalla comunicazione e dalle richieste compulsive di rassicurazione – si trasforma rapidamente in angoscia e in una paura invalidante.
A fare da contraltare allo studente preoccupato e insicuro appena descritto, troviamo lo studente che ostenta e condivide (perlopiù sui social, ma non solo) i suoi successi accademici. Solo apparentemente agli antipodi del primo, questo studente pubblica sistematicamente lo screenshot del 30 appena verbalizzato, pena dover poi “essere all’altezza” del suo stesso successo, ormai di dominio pubblico.
Molti studenti sentono infatti di dover rendere conto ai compagni di corso dei propri progressi o di doversi giustificare per eventuali ritardi, insuccessi, fallimenti. Questa percezione è frutto del confronto sociale, da sempre presente in ambito accademico, ma oggi notevolmente amplificato dalle logiche della performance e distorto anche dalla necessità di esistere attraverso il proprio alter ego virtuale: se non rendi noto il tuo successo, è come se non fosse mai accaduto.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una tentata soluzione, che conduce di fatto a un maggiore senso di esposizione e ansia quando la condivisione dei propri successi è dettata dalla necessità di ridurre l’insicurezza di fondo.
Studenti che parlano e condividono troppo poco
A parità di pressione percepita e di ansia da confronto sociale, alcuni studenti decidono piuttosto di adottare un approccio diametralmente opposto: quello di non parlarne affatto, anzi, di nascondere, celare, omettere, distorcere qualunque informazione relativa al proprio percorso accademico.
In alcuni casi può trattarsi di una modalità circoscritta ai momenti di confronto con altri studenti universitari, magari già laureati o prossimi alla discussione della tesi. Lo studente sotto pressione, profondamente a disagio, teme una domanda di troppo e può cominciare a evitare l’argomento università o i contesti in cui potrebbe dover “rendere conto” dei suoi progressi.
Ma saranno proprio l’evitare e celare in modo sistematico a instillare nello studente la sensazione di avere un inconfessabile segreto da nascondere, come un gigantesco elefante grigio nella stanza del quale non riesce a liberarsi.
Nella sua versione più estrema – ma non infrequente, purtroppo – il nascondere e celare si trasforma in distorcere e mentire.
Spesso mossi dalla paura di deludere la propria famiglia, che tanto ha investito nella formazione del figlio o della figlia, gli studenti si ritrovano a millantare di esami mai sostenuti e tesi mai scritte.
Si tratta della tentata soluzione più insidiosa e più letale: nell’illusione di “guadagnare tempo” e di poter recuperare senza che nessuno si accorga delle sue difficoltà, lo studente evita di chiedere l’aiuto di cui avrebbe bisogno e si sobbarca una pressione sempre maggiore. Spesso insostenibile, come documentato dagli episodi di cronaca nera universitaria.
Dalle tentate soluzioni alle soluzioni terapeutiche
Non esistono regole universalmente valide quando si tratta di gestire l’ansia da performance universitaria. Esistono però, come visto, modalità non funzionali che, se ripetute nel tempo, conducono allo strutturarsi di un problema.
La terapia breve strategica risulta particolarmente efficace per risolvere i blocchi nello studio, individuando, a seconda dei casi, la strategia più adeguata a contrastare la tentata soluzione dello studente sotto pressione, permettendogli infine di recuperare il controllo – e il piacere – nel proseguire il suo percorso universitario.
La parola è senz’altro un mezzo potente. Secondo Buddha avrebbe il potere tanto di distruggere quanto di creare e – potremmo aggiungere – tanto di farci avanzare quanto di farci bloccare. Una preziosa lezione della quale ogni studente potrebbe fare tesoro.
Bibliografia
– Alessandro Bartoletti, 2013. “Lo Studente Strategico”.
– Roberta Milanese, 2020. “L’ingannevole paura di non essere all’altezza”.
Per approfondire: Studente Strategico – il video-percorso terapeutico per superare il blocco dello studente